venerdì 31 luglio 2015

Carthage di Joyce Carol Oates

Non so quando verrà tradotto questo romanzo e con quale titolo ma spero che, trattandosi del nome di una città, venga mantenuto l’originale.
In internet ho trovato diverse città americane con questo nome, ma, anche se la Carthage in questione si trova nello stato di New York, è inevitabile il rimando alla Cartagine fenicia, con il suo splendore e la successiva rovina.
Ho iniziato questo libro, che da tempo stazionava sulla mia libreria, perché, dopo un saggio di Heine sulle donne di Shakespeare, avevo bisogno di una trama forte. In effetti, la trama in questione è più che forte, coinvolgente e intensa, a tratti devastante. Casualmente poi due personaggi portano il nome di due donne shakespeariane, Juliet e Cressida, le sorelle Mayfield, figlie di Zeno, avvocato ed ex sindaco della città. Due sorelle molto diverse sia fisicamente che caratterialmente, costrette nei ruoli della bella e dell’intelligente.
La vicenda inizia con la scomparsa di Cressida e la successiva confessione del suo omicidio da parte dell’ex fidanzato di Juliet, veterano della guerra in Iraq, tornato mutilato nel corpo e nella psiche.
E’ la psiche dei personaggi il vero terreno su cui si snoda il thriller e Cressida è per me uno dei personaggi più complessi. Ragazza difficile, a cui non importa nulla della bellezza, ma che, prigioniera della propria bruttezza, vorrebbe essere adorata per quello che è, nel modo in cui sua sorella viene adorata per la bellezza. Forse geniale (interessante il suo progetto universitario su Frankenstein) fallisce proprio dove dovrebbe eccellere.
Gli altri personaggi, quelli che le sopravvivono, vengono visti al momento della sparizione, in bilico tra la speranza di ritrovarla viva e la disperazione di chi arriva troppo tardi, e sette anni dopo. Perché, quando si verifica una morte in una famiglia, è come un terremoto, i rapporti si riallineano. Questo è quello che pensa Zeno, il padre, il politico, un uomo abituato ad essere al centro del proprio mondo e che poi, proprio da quel mondo, verrà messo da parte. Il suo nome è lo stesso di Zenone, il filosofo del paradosso del finito nell’infinito. Un paradosso che per Cressida significa desiderare ardentemente.
Meno spazio è dedicato ad Arlette, la madre, che resta però un personaggio incisivo, capace di grande forza dietro un’apparente fragilità.
Particolarmente forti sono le pagine dedicate al colpevole, il veterano di guerra, l’ex fidanzato, quasi un membro della famiglia, con i suoi ricordi di guerra che si affacciano durante gli anni di carcere.
Ero arrivata quasi alla fine e avevo voglia di divorare le ultime pagine, invece sono state forse quelle che ho letto più lentamente perché, nonostante sia un romanzo corale, in cui vengono esplorati i diversi punti di vista sugli stessi avvenimenti, la parte dedicata a Juliet è davvero l’altra faccia della storia. Ed è lei a porre il dubbio se un artista (o presunto tale) abbia il diritto, in nome del proprio dono (o dannazione?) di sconvolgere le vite degli altri.

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