sabato 19 dicembre 2009

Passato Imperfetto - Julian Fellowes

L'ho finito da poco e, anche se non è esattamente il mio genere, mi è piaciuto molto.
Passato Imperfetto è un libro che si legge velocemente per il ritmo vivace, da commedia, e, nonostante il finale sia abbastanza scontato, viene voglia di continuare a leggerlo fino alla fine per scoprire cosa succede ai vari (e tanti) personaggi. O meglio, per scoprire quello che è successo, visto che il libro parte dal presente e torna indietro nel tempo a scoprire il loro passato.
E' un romanzo di classe, che evidenzia le differenze tra le classi sociali all'interno della società degli anni Sessanta e, nonostante la diversa ambientazione temporale, mi ha fatto pensare subito al Grande Gatsby, con il quale ci sono delle analogie anche per quanto riguarda le vicende del protagonista, Damian Baxter.
All'inizio del romanzo Damian Baxter è vecchio, malato e ricchissimo, alla ricerca di un erede a cui lasciare il suo immenso patrimonio. L'unico che può aiutarlo in questa ricerca è l'amico di un tempo, con il quale da circa quarant'anni ha rotto i rapporti (il motivo lo si scoprirà solo alla fine e, per quanto mi riguarda, mi è sembrato davvero ben poca cosa) e che, durante la loro giovinezza, l'aveva introdotto nel mondo snob e fatuo delle grandi famiglie inglesi.
Così inizia il viaggio dell'amico, uno scrittore semisconosciuto, nel passato. Un viaggio alla ricerca dell'erede, che parte dalla lista delle donne con cui Damian ha avuo una relazione ai tempi della loro frequentazione e che sono le potenziali madri di suo figlio. La lista è lunga, ma Damian avverte l'amico che non è completa, ha escluso infatti tutte le donne che non hanno avuto un figlio dopo la relazione.
Come ho detto, il libro mi è piaciuto, nonostante il finale scontato, nonostante in alcuni punti sia quasi ridicolo. E' comunque un libro divertente, di puro intrattenimento, come può esserlo un film leggero, una commedia. Non a caso Fellowes è, prima che uno scrittore, uno scenggiatore.
Mi sono quindi stupita nel leggere che il Guardian e l'Independent lo stroncavano. La cosa che più mi ha stupito però è stato il fatto che lo prendessero molto seriamente, molto più di quanto in realtà meriti, perché invece si tratta di un libro leggero, che dovrebbe essere valutato in base alla sua capacità di far passare qualche ora e di divertire, senza altre pretese. Non è un romanzo da Nobel, non credo che Fellowes abbia mai avuto quell'obiettivo. Perché allora diamo sempre giudizi sui libri come se fossero candidati al Nobel? Forse siamo noi che sbagliamo a voler leggere qualcosa in più di quello che in realtà stiamo leggendo e ad arrabbiarci quando non scorgiamo quel qualcosa in più.

venerdì 26 giugno 2009

Michael Jackson

Il venerdì si sentiva nell’aria della mattina, rinfrescata dal violento temporale della notte, e nel sole luminoso che faceva sperare in un bel weekend. L’ultimo weekend di giugno: anche luglio si sentiva ormai nell’aria.
“E’ morto Michael Jackson”, ha detto la voce femminile proveniente dalla radio.
Per un momento, all’improvviso, la giornata si è oscurata. E’ morto Michael Jackson, ho pensato e una serie di immagini della mia adolescenza e della mia giovinezza sono all’improvviso apparse davanti ai miei occhi.
Da anni non pensavo a Michael Jackson, da anni non ascoltavo nemmeno più le sue canzoni, eppure quelle canzoni e quei video sono stati la musica di sottofondo di una lunga parte della mia vita.
Ricordo un’estate al mare con mia sorella, quando mia nonna stava morendo, ascoltavamo Michael Jackson da due paia di cuffie collegate allo stesso walkman e ci stringevamo forte la mano. Just another part of me...
Avevo dodici anni, facevo le medie, quando la risata di Thriller riecheggiava dalle radio, ne avevo diciotto ed ero a Monaco quando andai ad un suo concerto. Erano i tempi di Bad e The way you make me feel era la mia canzone preferita. Ero andata al concerto con un’amica conosciuta a Monaco, ma, una volta entrate all’Olimpiastadion, avevamo dovuto separarci perché avevamo posti assegnati lontani. Eppure non mi sentii sola nemmeno per un momento, un po’ grazie alla ragazza tedesca seduta accanto a me, con cui feci amicizia, e un po’ perché il concerto era spettacolare, il migliore a cui avessi mai assistito (e a quei tempi assistevo a molti concerti).
I tedeschi erano entusiasti già prima dell’inizio, la supporter era Kim Wilde. Ho un ricordo di luci, di musica e balli che fino a quel momento avevo visto solo alla televisione. Quando il concerto finì ero felice, camminai insieme alla folla fin fuori dallo stadio e dal villaggio olimpico e salii sull’autobus che mi avrebbe lasciato in una zona residenziale, alla periferia di Monaco. Era una zona di case basse e di villette con giardino, le strade erano buie e strette, costeggiate da cespugli, ma io non avevo paura, nemmeno ci pensavo ad averne. Quella sera ero felice, avevo diciotto anni, mi sentivo adulta e serena. La mia vita mi stava davanti ma io me la sentivo già dentro.
Era l’8 luglio 1988, sono passati ventun anni, ora Michael Jackson è morto, dopo le accuse di pedofilia, dopo anni in cui non ha tenuto concerti e in cui io non ho più ascoltato le sue canzoni.
Seguii distrattamente il processo per pedofilia, pensando che probabilmente era colpevole. Qualche volta guardai con orrore il suo volto sui giornali, completamente diverso da quello dei tempi di Thriller, un volto spaventoso e stravolto, in cui restava ben poco di umano.
Ora guardo i filmati che lo commemorano, rivedo i suoi video, riascolto le sue canzoni e mi rendo conto di averle dimenticate per tanto tempo. Eppure mi piacciono ancora e capisco perfettamente perché mi piacessero vent’anni fa: Michael Jackson inventò un genere musicale diverso da tutti quelli che l’avevano preceduto, un genere musicale fatto di eccessi e di gioia di vivere che rispecchiava gli anni Ottanta e chi a quei tempi aveva vent’anni.
Ascolto per la prima volta il suo discorso per scagionarsi dalle accuse. E se fosse vero? mi chiedo. Se avesse avuto ragione, se fosse stata solo una manovra di qualcuno per derubarlo? Quanto può essere devastante essere accusati di qualcosa di terribile che non si farebbe mai, sapendo che, comunque vadano le cose, l’accusa lascerà per sempre un’ombra di sospetto?
“Sarebbe spaventoso,” ho detto alla mia amica C. e lei ha annuito.
Non lo sapremo mai, non sapremo mai se quelle accuse erano vere o false.
Anche la mia amica C. è triste, ci sentiamo entrambe malinconiche, la nostra giovinezza è più vicina e più lontana allo stesso tempo, anche se non ci pensiamo mai molto, anche se non ci pesa più di tanto il fatto di avere quarant’anni, semplicemente perché dentro di noi non siamo del tutto convinte di averli veramente. Qualche volta ci guardiamo perplesse, chiedendoci reciprocamente con lo sguardo se davvero sono passati vent'anni da quando avevamo vent'anni.
Sua figlia V. appoggia il viso imbronciato tra i pugni delle mani. Non capisce di cosa parliamo e si sente esclusa dal nostro discorso.
Le sorrido.
“E tu?” le chiedo. “Lo conosci Michael Jackson?” mi guarda stupita, con gli occhi spalancati, e scuote la testa.
V. avrà quindici anni nel 2020, a quei tempi conoscerà Michael Jackson perché le sarà capitato di ascoltare le sue canzoni e vedere i suoi video e lo troverà terribilmente ridicolo, si chiederà perché mai a sua madre e alle sue amiche piacessero quelle canzoni e quel modo di ballare. E’ successo anche a noi quando siamo state a Graceland e dicevamo che Elvis Presley era kitsch e aveva la faccia da fegato.
Michael Jackson è stato un’epoca, la nostra di quando avevamo tra i quindici e i venticinque anni.
E mentre riguardo i suoi video su youtube, presa da un’improvvisa voglia di ascoltare canzoni che conosco a memoria e che avevo dimenticato per vent’anni, ripenso al mio amico, mi sembra di rivederlo camminare veloce per la strada nella quale siamo cresciuti, con la giacca e i pantaloni neri. E’ da quando ho sentito alla radio la notizia della morte di Micheal Jackson che evito questo ricordo, quello di un ragazzo che aveva ventidue anni, che avrebbe dovuto compierne ventitrè e che invece è rimasto giovane per sempre. Lui morì diciotto anni fa, poco prima dell’uscita di Dangerous, e fu sepolto con la bandiera di Michael Jackson.

domenica 5 aprile 2009

Sandor Marai

Ho scoperto Marai da pochi mesi eppure, in breve tempo, ho divorato tre suoi romanzi e sono decisa a non lasciarmi sfuggire nessuno degli altri.
Ho iniziato con Divorzio a Buda e subito sono stata attirata dal flusso di coscienza dei pensieri del giudice e dalla sua storia, che si intrecciava con quella dell'ex compagno di scuola e di sua moglie, sul cui divorzio il giudice avrebbe dovuto pronunciarsi. Al flusso dei suoi pensieri si contrappone il monologo dell'uomo che rifiuta il divorzio e l'accento cade sul diverso modo in cui le persone vivono gli stessi avvenimenti, che per qualcuno sono solo episodi di scarsa importanza, per altri il centro della loro vita.
Anche ne Le braci due amici, un tempo inseparabili, si ritrovano dopo molti anni e anche qui un lungo monologo svela i segreti della loro amicizia e le ombre del loro rapporto, che comunque è rimasto stretto, nonostante gli anni trascorsi lontani, proprio in attesa di questo incontro.
La donna giusta è, dei tre, il romanzo che ho preferito. Si potrebbe parlare non di un solo romanzo ma di tre, si tratta infatti di tre monologhi, e anche qui la storia è sempre la stessa ma raccontata da tre diversi punti di vista: quello della prima moglie, quello del marito e infine quello della seconda moglie. C'è poi un terzo monologo, più breve, che costituisce l'epilogo, cioé il racconto dell'ultimo amore della seconda moglie.
I protagonisti dei tre romanzi di Marai sono borghesi, persone educate in un certo modo, abituate a comportarsi in un certo modo, rispettando certe regole e certe convenzioni, ma i loro pensieri e i loro sentimenti sfuggono alle regole e alle convenzioni. I personaggi di Marai sono sempre un po' tristi, perché nella vita hanno fatto quello che dovevano fare o quello che il mondo avrebbe voluto che loro facessero, ma la loro vita non è andata esattamente come avrebbero voluto, in loro c'è sempre qualche rimpianto, qualcosa che avrebbe potuto essere diversa, migliore, ma non lo è stata. Ed è così anche quando i personaggi si ribellano alle convenzioni e al modo in cui il mondo vorrebbe vederli, qualcosa si frappone sempre fra loro e la felicità che inseguono, impedendo alla loro vita di essere quella che avrebbero voluto, magari anche solo perché hanno frainteso un evento, attribuendogli un significato diverso da quello che aveva per l'altra parte in causa.
I protagonisti dei romanzi di Marai sembrano usciti da un quadro di Vettriano, uomini e donne di cui si intravedono la ricchezza persa e la bellezza sciupata, personaggi stropicciati dalla vita e dal loro passato, a cui però restano sempre legati senza riuscire a staccarsene.